Tratto da: https://www.finestresullarte.info/
Andrea Savazzi è un giovane talento, un pittore nel senso classico del termine, ma con la peculiarità di riuscire a cogliere gli elementi più grotteschi della nostra epoca. Con stile ironico e distaccato macchie indelebili di colore s’aggiustano magicamente sulla tela assumendo connotati ben noti, emergono fattezze grottesche, maschere riconoscibili senza sforzo eppure velate da un’ombra di lontananza, da una dissolvenza che ne accentua la corruzione estetica e morale un attimo prima dello scioglimento nell’indistinto. L’artista possiede certamente un’abilità tecnica indiscutibile, tuttavia non è questo il solo motivo d’interesse che ci porta a valutare le sue opere come estremamente originali e dotate di un potere comunicativo fuori dal comune. Certo la cronaca entra in maniera preponderante nei dipinti: tra dorati scranni imbottiti di velluto rosso e nere cravatte d’ordinanza il rituale sempre più lontano della politica di palazzo e la disperata quanto artificiale mondanità dei circoli di potere – recentemente ben raccontata anche nel film, Premio Oscar, “La Grande Bellezza” di Sorrentino – manifestano tutto il loro nemmeno troppo allegorico crepuscolo autoreferenziale; di contro, segno di una contrapposizione spietata, le decadenti fabbriche, fumanti dinosauri d’acciaio accasciati sempre troppo vicino a noi per poter far finta di non vedere. Sorgono domande: Può diventare bello ciò che respinge? Può l’elemento corrotto o alienante divenire oggetto d’attenzione e curiosità? Può la decadenza trasfigurarsi in teatrale rappresentazione di un’epoca storica? Farsi manifesto di un disfacimento generalizzato? E’ lecito sorridere di tutto ciò? Si celebra sempre ciò che finisce e l’artista ha il dono naturale d’intuire i mutamenti prima del loro reale accadimento. Questione di tempismo e sensibilità. Ma questa è arte priva di pesantezze educative e pedanti moralismi, si muove leggera grazie alla verosimiglianza, elude il realismo barattandolo con l’impressione.
Nascono così congetture ironiche dinnanzi alla messa in scena del potere ed, al contempo, amare deduzioni riguardo ai temi di stretta attualità, dall’inquinamento ambientale alla crisi occupazionale. Un senso di lontananza fatale avvolge la scena dipinta alludendo ad una funzione – o funzionalità – perduta, stemperata in una messa a fuoco volutamente alterata. Ulteriori pensieri conseguenti, riflessioni probabilmente non prive di sarcasmo, s’intrecciano alla piacevolezza sensoriale che gli equilibri cromatici esercitano all’occhio: una pittura ricca, stesa in forme ovattate, con evanescenze appena accennate ad alleggerire la scena, luce liquida gestita con istinto fotografico. Ma l’arte di Savazzi non esula dalla rappresentazione, non cede alla tentazione di farsi strumento esplicito di critica sociale, economica o politica, non indugia nell’ambito facile quanto transeunte delle categoriche prese di posizione. La sua pittura, in fondo sorretta dalla semplicità dello sguardo attento e dalla straordinaria perizia compositiva, lascia il giudizio morale allo spettatore concedendosi solo una fondamentale sfumatura, ovvero quella di cogliere appieno e con raffinato acume la realtà nella sua essenza più profonda, per renderla poi alla visione quale simulazione sarcastica ed illusoria parvenza.
La galleria di Andrea Savazzi (per gentile concessione dell’autore)
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Donato Novellini su Barbadillo.it