Testo di Adelaide Santambrogio sulle opere di Florence Di Benedetto
“Il percorso artistico di Di Benedetto parte da un lavoro fotografico rielaborato e reso in pittura, dove protagonista è lo spazio urbano insieme ai colori, pochi e selezionati, delle metropoli, gli edifici e monumenti iconici di altrettante iconiche città e l’idea di dinamismo dei mezzi di trasporto, che emergono con forza dalla tela.

There is beauty in everything
Ma è con la serie There is beauty in everything che l’artista compie un passo in avanti, superando il brulicare cittadino per approdare all’interno di un vissuto più quotidiano, in una dimensione più intima, dove gli oggetti di uso comune diventano essi stessi i simboli, le icone domestiche, alla portata di tutti. L’artista in questo modo strizza ancora più chiaramente l’occhio alla cultura pop, a Andy Warhol e alla mercificazione dell’opera d’arte. Lontano è ora quel tratto tipico dei paesaggi urbani newyorkesi delle prime tele, capaci di evocare la concezione dello spazio futurista di Balla e Boccioni.
La cultura americana ricompare qui sotto forma di bottigliette di ketchup o di mostarda, lattine Campbell’s, sacchetti di patatine o scatole di cereali, dipinti in acrilico o tridimensionali sotto teca, che trasportano lo spettatore direttamente all’interno di un supermarket, una sorta di 7-Eleven, dove non solo è possibile appagare la voglia del momento, ma anche comprare e portarsi a casa una confezione di cultura, o meglio un barattolo di cultura sigillato e pronto all’uso.
Fix what you can
Perché ogni oggetto riporta una frase, un messaggio, che seppur semplice – e il più delle volte ironico – non lascia indifferenti. Si potrebbe dire che questi oggetti si fanno veicolo, portavoce di espressioni più ampie: sono il ponte tra una società basata sui consumi e una in cui è il consumo di pensieri ciò che conta, dove quello che preme nutrire non è solo il corpo ma anche l’anima.
La magia di questa serie di opere risiede inoltre nel fatto che non si tratta di messaggi arrotolati dentro a bottiglie di vetro, ma bensì, per quanto mimetizzati da una grafica propriamente commerciale, questi sono esplicitati in bell’evidenza all’esterno dei loro contenitori, su accattivanti etichette che si impongono tra gli scaffali. Di Benedetto lascia in questo modo parlare gli oggetti al posto suo, affidando loro brevi testi, moniti o perle di saggezza che sembrano essere distanti dallo stile industriale di un prodotto di massa, invitando così lo spettatore/consumatore a riflettere e porsi delle domande, fino a interrogarsi sul proprio ruolo e le proprie idee.
Fix what you can, let the rest go o Challenge the voice inside your head that whispers I can’t do that o ancora The time is always right, sono solo alcuni esempi. Sta a ciascuno di noi quindi cogliere tutti gli aspetti dell’opera. Il gioco tra significato e significante è, infatti, estremamente sottile.

La festa è finita
Attraverso questa chiave di lettura è possibile comprendere anche l’ultima opera realizzata dall’artista che si allontana completamente dalla pittura e dalla dimensione apparentemente più interiore, per arrivare a esibire a chiare lettere un altro messaggio, triste quanto allegro: la festa è finita. La scritta, inserita in un contesto gioioso come quello delle decorazioni del sud Italia, tipiche del Salento, che riempiono le strade durante le feste patronali o religiose, spicca all’interno di una cornice fatta da tantissime lampadine di colori differenti che sembrano gridarne l’esatto contrario. Lo spettatore, disorientato e messo di fronte a una frase dal tono lapidario, quasi un manifesto, si trova a dovere fare i conti tra ciò che vede e ciò che legge, accogliendo e facendo propria la comunicazione che l’artista ha voluto regalare al mondo. Si tratta, questa, di un’opera potentissima e quanto mai attuale.”
Testo di Adelaide Santambrogio
Le opere di Florence Di Benedetto: http://www.rossettiartecontemporanea.it/artista/di-benedetto-florence/
